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Quali sono gli strumenti di tutela per il cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione
La normativa vigente mette a disposizione diversi strumenti a favore dei cittadini coinvolte in un procedimento amministrativo per quanto riguarda il provvedimento finale emanato o l'eventuale provvedimento adottato oltre il termine stabilito per la sua conclusione. Questi strumenti offrono opportunità di tutela e permettono di presentare istanze, reclami o ricorsi al fine di far valere i propri diritti e interessi nel contesto di un procedimento amministrativo.
Gli strumenti previsti sono:
Approfondimenti
La disciplina sul procedimento amministrativo prevede garanzie per i cittadini nel caso in cui vi sia un ritardo da parte dell'Amministrazione nei procedimenti che li riguardano. A tal fine, è stato previsto il potere sostitutivo, che può essere esercitato nel caso di inattività del funzionario responsabile (Legge 07/08/1990, n. 241, art. 9-bis).
Solitamente il potere sostitutivo è attribuito al segretario generale nei confronti dei dirigenti, mentre i dirigenti stessi lo esercitano nei confronti dei responsabili del procedimento individuati.
Il difensore civico ha il compito di proteggere i diritti di tutti i cittadini che interagiscono la Pubblica Amministrazione e con tutti i soggetti che svolgono una funzione pubblica o di pubblico interesse (come ad esempio i gestori di acqua, luce e gas). La sua presenza è fondamentale per garantire l'efficienza e la trasparenza nei rapporti tra il cittadino e l'Amministrazione.
Il difensore civico è una figura autonoma e indipendente: non è né un politico né un magistrato. Viene selezionato tra esperti esterni alla Pubblica Amministrazione e ha il compito di prevenire, risolvere o mediare i conflitti tra l'Amministrazione e i cittadini. Il servizio offerto dal difensore civico è sempre completamente gratuito e accessibile a tutti, senza alcuna distinzione di età, cittadinanza o altri criteri.
La normativa vigente offre al cittadino la possibilità di agire in giudizio contro la Pubblica Amministrazione nel caso di inadempienza o di mancato riscontro da parte di quest'ultima (cosiddetto "silenzio inadempimento") e ne condanna tale comportamento, prevedendo meccanismi processuali tempestivi e precisi per la sua difesa.
Dopo il decorso infruttuoso del termine previsto per la conclusione del procedimento, il cittadino può notificare un atto di diffida e messa in mora tramite un ufficiale giudiziario appositamente incaricato concedendo un periodo di almeno 30 giorni all'Amministrazione per adempiere. Successivamente, il cittadino ha il diritto di impugnare il silenzio inadempimento davanti al giudice amministrativo entro un termine di 60 giorni a partire dalla scadenza del termine stabilito con la diffida. Tuttavia, nel caso del ricorso al TAR, è possibile presentare il ricorso anche senza la necessità di inviare una diffida all'Amministrazione inadempiente, a condizione che l'inadempienza persista e comunque entro un anno dalla scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento.
I poteri del TAR in materia di silenzio inadempimento
La Legge 11/02/2005, n. 15 stabilisce che il TAR può prendere in considerazione la fondatezza dell'istanza: ciò significa che, in un ricorso contro il silenzio inadempimento della Pubblica Amministrazione, non solo può intimare all'Amministrazione stessa di agire ma può anche decidere sulla questione nel merito. Tuttavia, ciò è possibile solo in determinati casi, cioè nei casi in cui l'Amministrazione agisce in modo "vincolato", cioè applicando meccanicamente le leggi senza discrezionalità amministrativa.
I ricorsi contro il silenzio dell'Amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con una sentenza brevemente motivata, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione del ricorso, dopo aver ascoltato i difensori delle parti che ne fanno richiesta. La decisione può essere appellata entro 30 giorni dalla notifica o, in mancanza di notifica, entro 90 giorni dalla comunicazione della pubblicazione.
Nel processo di appello si applicano le stesse regole. Nel caso in cui il ricorso di primo grado venga accolto totalmente o parzialmente, il giudice amministrativo di solito ordina all'Amministrazione di agire entro un termine non superiore a 30 giorni.
Qualora l'Amministrazione non adempia entro tale termine, su richiesta di una delle parti, il giudice amministrativo nomina un commissario che agisca al suo posto.
Il risarcimento del danno da ritardo
La Legge 07/08/1990, n. 241 stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni sono responsabili per il risarcimento del danno ingiusto causato dalla violazione intenzionale o negligente del termine di conclusione del procedimento: ciò significa che è prevista la possibilità di ottenere il risarcimento del danno derivante dal ritardo.
L'azione risarcitoria deve essere presentata davanti al giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive, ossia può essere fatto valere, entro cinque anni.
Tuttavia, è necessario distinguere tre situazioni che possono verificarsi in seguito all'istanza presentata da un cittadino al fine di ottenere un provvedimento favorevole:
- ritardo di un provvedimento favorevole: situazione in cui la Pubblica Amministrazione, pur non emettendo il provvedimento entro il termine previsto per la conclusione del procedimento, accoglie la richiesta del cittadino con un provvedimento favorevole ritardatario. In questo caso, poiché il cittadino non ha interesse a impugnare l'atto, si può ipotizzare un danno solo per il ritardo rispetto al termine di conclusione del procedimento, poiché l'emissione del provvedimento favorevole al cittadino è già di per sé indicativa della fondatezza della richiesta iniziale del cittadino.
- ritardo di un provvedimento sfavorevole: situazione in cui l'Amministrazione emette un provvedimento sfavorevole in ritardo, cioè un provvedimento che va contro la richiesta del cittadino. In questo caso, poiché viene negato il "bene della vita" oggetto della richiesta del cittadino, non è possibile ipotizzare un danno da ritardo. Sarà compito del cittadino impugnare l'atto sfavorevole e solo se il giudizio di annullamento avrà esito positivo, ovvero quando il giudice riconoscerà la fondatezza della richiesta iniziale del cittadino, sarà possibile richiedere il risarcimento del danno derivante dal ritardo.
- silenzio dell'Amministrazione: situazione in cui la Pubblica Amministrazione non emette alcun provvedimento. In questo caso, l'interessato dovrà ottenere dal giudice amministrativo il riconoscimento dell'illegittimità del silenzio dell'ente, il quale sarà seguito da un provvedimento espresso dell'ente, che potrà essere favorevole o sfavorevole. A questo punto, ci si troverà in una delle situazioni descritte nei due punti precedenti.
Cosa deve fare il cittadino per ottenere il risarcimento del danno da ritardo
Il cittadino ha l'onere di dimostrare i seguenti elementi:
- l'esistenza del danno e la sua entità
- la mancanza di ragioni che possano giustificare l'azione della Pubblica Amministrazione (ad esempio, l'esistenza di una normativa particolarmente complessa che potrebbe portare a un errore scusabile)
- l'imputabilità della responsabilità all'ente pubblico a titolo di colpa grave o dolo.
Il cittadino deve fornire prove sufficienti per sostenere tali aspetti durante il processo.
Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo
Quando il giudice stabilisce che un provvedimento illegittimo ha privato il cittadino di un valore appartenente al suo patrimonio, è necessario garantire all'interessato, che ha un interesse contrario, il recupero del diritto perduto sul bene e il risarcimento del danno subito a causa dell'indisponibilità della cosa.
Allo stesso modo, se un cittadino è titolare di un interesse legittimo a ottenere un bene della vita che gli è stato negato con un provvedimento amministrativo illegittimo, attraverso il processo amministrativo può perseguire due obiettivi: ottenere il vantaggio che gli è stato illecitamente negato e ottenere il risarcimento dei danni aggiuntivi derivanti dal provvedimento negativo.
La normativa vigente garantisce la realizzazione del diritto al risarcimento, prevedendo che il risarcimento possa avvenire in due forme alternative: la reintegrazione specifica (ad esempio, la restituzione del bene) e l'attribuzione di un equivalente monetario (somma di denaro).
Qual è il giudice competente in materia di risarcimento del danno
Il giudice amministrativo è generalmente competente sia quando un cittadino richiede l'annullamento di un provvedimento, sia quando fa valere la tutela risarcitoria. I giudici hanno inoltre stabilito che il giudice ordinario, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento del danno derivante da un provvedimento amministrativo presumibilmente illegittimo, non deve subordinare la sua decisione all'annullamento effettuato dal giudice amministrativo, ma può esaminare l'illegittimità dell'atto ai fini della valutazione dell'ingiustizia del danno.
Nel caso di un provvedimento di rifiuto da parte dell'ufficiale d'anagrafe riguardante richieste come il cambio di residenza, il rilascio di certificati o altre questioni relative all'anagrafe della popolazione residente è possibile presentare un ricorso gerarchico al prefetto. Il prefetto, dopo aver effettuato le necessarie verifiche, avrà il compito di decidere se respingere il ricorso o accoglierlo, annullando o modificando l'atto impugnato. Nel caso si desideri contestare la decisione del prefetto, è possibile presentare un ricorso al giudice ordinario, secondo le modalità e i termini stabiliti dal codice di procedura civile.
Come alternativa al ricorso al prefetto, è possibile presentare un ricorso al TAR competente.
Inoltre, nel caso in cui si ritenga di subire un pregiudizio in un diritto soggettivo, è possibile presentare un ricorso al tribunale competente seguendo le disposizioni del codice di procedura civile.
Qualunque cittadino desideri richiedere la rettifica di un atto dello stato civile, la ricostruzione di un atto distrutto o smarrito, la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto registrato erroneamente, oppure intendi opporsi al rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di accettare totalmente o parzialmente una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, un'annotazione o un'altra azione deve presentare un ricorso al tribunale competente del luogo in cui si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale l'atto in questione è registrato o presso il quale si richiede l'esecuzione dell'adempimento.
Il tribunale può ottenere informazioni, acquisire documenti e convocare l'ufficiale dello stato civile senza particolari formalità. Prima di prendere una decisione, il tribunale deve sentire il parere del procuratore della Repubblica e degli interessati, e se necessario richiedere il parere del giudice tutelare. Il tribunale emette un decreto motivato in camera di consiglio in merito alla domanda presentata.
Si applicano, nella misura in cui siano compatibili, gli articoli 737 e successivi del Codice di procedura civile, nonché l'articolo 455 del Codice civile per quanto riguarda i soggetti ai quali non può essere opposto il decreto di rettificazione.
L'ufficiale dello stato civile, di propria iniziativa o su richiesta di chiunque abbia interesse, può correggere errori materiali di scrittura commessi nella redazione degli atti mediante annotazione, dando contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo in cui l'atto è stato registrato e agli interessati.
Contro la correzione, il procuratore della Repubblica o chiunque abbia interesse può presentare opposizione entro 30 giorni dalla ricezione dell'avviso, mediante un ricorso al tribunale, il quale deciderà in camera di consiglio con un decreto motivato che avrà efficacia immediata.
Il ricorso alla Corte d'appello
I rimedi giurisdizionali disponibili per tutelare l'elettorato attivo sono costituiti dai ricorsi che possono essere presentati da qualsiasi cittadino davanti alla Corte d'appello, seguiti dal successivo ricorso per cassazione previsto per la parte che subisce una sconfitta. Questi ricorsi sono disciplinati dal Decreto del Presidente della Repubblica 20/03/1967, n. 223, art. 42.
In particolare possono essere impugnate davanti alla Corte d'appello:
- le decisioni della commissione elettorale mandamentale o delle sue sottocommissioni adottate durante la revisione semestrale delle liste. Sono soggetti di ricorso tutti i provvedimenti con cui tali commissioni abbiano deliberato l'iscrizione o la cancellazione di un cittadino dalle liste, abbiano rifiutato l'iscrizione o la cancellazione o abbiano respinto un reclamo
- le decisioni della commissione elettorale mandamentale o delle sue sottocommissioni emesse durante la revisione dinamica, sia in risposta a ricorsi avverso le deliberazioni della commissione elettorale comunale, sia nell'esercizio del potere di controllo di propria iniziativa
- i provvedimenti con i quali la commissione elettorale mandamentale o le sue sottocommissioni hanno cancellato dai registri elettorali sezionali destinati alla votazione i nomi dei cittadini che, nel primo giorno delle elezioni, non avessero ancora compiuto 18 anni
- i provvedimenti di rettifica delle liste generali effettuati dalla commissione elettorale comunale nel caso in cui le modifiche apportate alle liste non corrispondano, per falsità o errore, agli elenchi approvati dalla commissione mandamentale, come stabilito nel primo comma dello stesso articolo
In tutti i casi elencati, è generalmente riconosciuto che la Corte d'appello ha giurisdizione su un diritto soggettivo del cittadino, pertanto il ricorso può contestare non solo l'iscrizione o la mancata iscrizione nelle liste, ma anche l'iscrizione con dati imprecisi o che in qualche modo pregiudichi l'effettivo esercizio del diritto di voto.
Per quanto riguarda le decisioni prese dalla commissione elettorale mandamentale sui reclami relativi alla suddivisione del Comune in sezioni elettorali, alla determinazione delle circoscrizioni e dei luoghi di riunione di ciascuna sezione, nonché all'assegnazione degli iscritti alle singole sezioni, la giurisprudenza prevalente ha escluso la giurisdizione della Corte d'appello e ha affermato la competenza degli organi di giustizia amministrativa, sostenendo che la materia riguarda esclusivamente interessi legittimi e che il Decreto del Presidente della Repubblica 20/03/1967, n. 223 non contiene deroghe ai principi sulla ripartizione delle competenze giurisdizionali stabiliti dalla Legge 20/03/1865, n. 2248.
Soggetti del ricorso alla Corte d'appello
Il ricorso presentato alla Corte d'appello rappresenta un caso di azione popolare a carattere correttivo, il che significa che può essere esercitato non solo dai cittadini direttamente interessati al provvedimento, ma da tutti i cittadini.
Le persone giuridiche e gli organi amministrativi che la legge non riconosce espressamente come legittimati non possono proporre ricorso. Di conseguenza, partiti politici, comuni e commissioni elettorali comunali non possono fare ricorso, ma hanno la possibilità di sollecitare l'intervento del pubblico ministero tramite una denuncia.
I ricorsi in questione possono essere presentati dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio. Pertanto, il pubblico ministero deve intervenire in tali cause, pena la nullità che può essere rilevata d'ufficio.
Inoltre, se il procuratore della Repubblica riscontra elementi di reato nel fatto che ha dato origine al ricorso, promuove l'azione penale.
I termini del procedimento del ricorso alla Corte d'appello
l ricorso presentato alla Corte d'appello deve essere redatto su carta libera e deve essere sottoscritto dal cittadino ricorrente o dal suo procuratore, se presente.
Nel ricorso devono essere chiaramente indicati l'organo adito, il provvedimento impugnato, le generalità delle parti interessate, i motivi di impugnazione e l'oggetto della domanda.
Il presidente della Corte d'appello, mediante decreto, fissa sull'atto stesso del ricorso l'udienza di discussione della causa in via d'urgenza.
Il ricorso, insieme al decreto di fissazione dell'udienza emesso dal presidente della Corte d'appello, deve essere notificato, pena l'inammissibilità, al cittadino o ai cittadini interessati, nonché agli organi che hanno emesso l'atto impugnato, come la commissione o sottocommissione elettorale mandamentale o, nel caso specificato dall'articolo 42, comma 2, alla commissione elettorale comunale.
La notifica deve essere effettuata secondo le modalità previste dalla normativa vigente.
I termini per eseguire la notifica del ricorso sono diversi a seconda che il ricorrente sia il cittadino che aveva reclamato o presentato una domanda di iscrizione alla commissione elettorale mandamentale, o che sia stato cancellato dalle liste dalla stessa commissione, oppure che il ricorrente o i ricorrenti siano altri cittadini, non direttamente interessati.
Nel primo caso, il termine è di 20 giorni a decorrere dal giorno successivo alla notifica del provvedimento; nel secondo caso, il termine è di 30 giorni a decorrere dal giorno successivo all'ultimo giorno di pubblicazione della lista rettificata.
I suddetti termini sono raddoppiati a favore dei cittadini residenti all'estero.
In conformità all'articolo 43, il ricorso, unitamente ai documenti pertinenti, deve essere depositato presso la cancelleria della Corte d'appello entro dieci giorni dall'ultima notifica effettuata a un soggetto effettivamente legittimato a resistere, pena la decadenza.
Tuttavia, per i cittadini residenti all'estero, tale termine è prolungato a 60 giorni.
Il deposito comprende una copia del ricorso notificata alla controparte insieme al decreto di fissazione dell'udienza, corredata dalla relazione di notifica, nonché gli atti e i documenti su cui si fonda il ricorso.
Durante la discussione del ricorso presso la Corte d'appello, non è obbligatorio l'assistenza di un procuratore o di un avvocato.
Le parti possono intervenire e farsi sentire personalmente durante l'udienza; la comparsa in udienza costituisce la costituzione in giudizio del resistente.
La Corte decide la causa in camera di consiglio.
Tutti gli atti del procedimento sono redatti su carta libera e sono esenti dalle tasse di registro e dalle spese di cancelleria.
Notifica ed esecuzione delle sentenze della Corte d'appello
Le sentenze emesse dalla Corte d'appello devono essere immediatamente comunicate, a cura della cancelleria, al presidente della commissione elettorale mandamentale per le relative procedure, nonché al sindaco, che si occupa dell'esecuzione e della notificazione agli interessati senza alcuna spesa.
La notifica agli interessati viene effettuata tramite messo comunale.
Anche l'esecuzione della sentenza, che comporta le necessarie modifiche alle liste elettorali, è affidata al sindaco. Questa scelta è motivata dal fatto che il dispositivo della sentenza, in virtù del suo valore di giudicato, non può essere sottoposto a ulteriori valutazioni da parte della commissione elettorale comunale o della commissione elettorale mandamentale.
Di conseguenza, il sindaco, in qualità di funzionario governativo, con l'assistenza del segretario, provvede all'iscrizione del cittadino, al quale la sentenza ha riconosciuto il diritto di voto, sia nella lista elettorale generale che nella lista della sezione in cui il cittadino risiede, nonché alla cancellazione dalle liste elettorali di coloro che sono stati esclusi dal diritto di voto dalla sentenza.
Di tali adempimenti viene redatto un verbale, che viene portato a conoscenza della commissione elettorale comunale nella prima seduta disponibile.
Ricorso alla Corte di cassazione
La sentenza emessa dalla Corte d'appello può essere impugnata solo dalla parte soccombente, anche senza l'assistenza di un avvocato, tramite un ricorso per cassazione.
Il presidente, sulla base del semplice ricorso, stabilisce in via urgente la data dell'udienza per la discussione della causa.
Tutti gli atti relativi al ricorso sono redatti su carta libera e sono esenti dalla tassa di registro, dal deposito per il caso di soccombenza e dalle spese di cancelleria.
L'intero procedimento segue le norme previste dal codice di procedura civile, sebbene i termini siano ridotti della metà, ad eccezione dei ricorsi presentati dai cittadini residenti all'estero.
Le decisioni della Corte di cassazione sono pubblicate immediatamente e vengono comunicate dalla cancelleria, nonché dal presidente della commissione elettorale mandamentale, al sindaco, che si occupa dell'esecuzione e della notificazione agli interessati senza alcuna spesa, seguendo quanto stabilito per le sentenze della Corte d'appello.
Effetto non sospensivo dei ricorsi giudiziari
Si sottolinea, infine, l'importanza che gli organi responsabili per la gestione e la revisione delle liste elettorali prestino alla norma che stabilisce come la presentazione di ricorsi alla Corte d'appello e alla Corte di cassazione in materia di elettorato attivo non sospenda l'esecuzione delle disposizioni o delle decisioni impugnate.
Tutela del diritto fondamentale dell'elettorato attivo
La protezione del diritto fondamentale di elettorato attivo deve essere richiesta davanti al giudice ordinario, che è il giudice competente per i diritti fondamentali e, tra essi, i diritti politici. Tale tutela non rientra nell'ambito della giurisdizione amministrativa per il contenzioso elettorale, regolato dagli articoli 126, 129 e 130 del Codice di procedura amministrativa (Sentenza del Consiglio di Stato 18/07/2019, n. 5077).
Infatti, la giurisdizione attribuita al giudice amministrativo riguarda esclusivamente le "operazioni elettorali", cioè la regolarità delle procedure elettorali, che riguardano gli interessi legittimi delle singole posizioni, ma non i diritti soggettivi. Pur comprendendo non solo le attività di voto, ma anche il procedimento elettorale preparatorio e tutti gli atti correlati, dal nomina dei comitati elettorali fino alla proclamazione degli eletti, le controversie che riguardano il diritto soggettivo, come il diritto di elettorato attivo, sono di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria (Ordinanza della Corte di cassazione 20/10/2016, n. 21262).
È possibile presentare un ricorso amministrativo o un ricorso amministrativo giurisdizionale nei casi in cui non è prevista una forma specifica di ricorso.
I ricorsi amministrativi possono essere indirizzati all'organo che ha emesso l'atto che ha leduto la situazione giuridica (ricorso in opposizione), al suo superiore gerarchico (ricorso gerarchico) o a un altro organo.
Nel sistema italiano di giustizia amministrativa sono presenti sia i ricorsi amministrativi sia la tutela giurisdizionale. L'ordinamento italiano ha adottato un criterio particolare per la ripartizione della giurisdizione, basato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa: se si tratta di un diritto soggettivo, la competenza spetta alla giurisdizione ordinaria; se invece si tratta di un interesse legittimo, la competenza spetta alla giurisdizione amministrativa. Questo criterio generale è integrato da un criterio basato sulla materia, nei casi di giurisdizione esclusiva (che sono eccezioni che si sono tuttavia ampliate nel corso degli anni).
I ricorsi amministrativi propri, in genere, possono essere presentati a organi amministrativi non giurisdizionali e includono il ricorso gerarchico proprio e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Invece, i ricorsi in opposizione e i ricorsi a altri organi amministrativi (noti come ricorso gerarchico improprio) possono essere presentati solo nei casi previsti dalla legge.
La tutela giurisdizionale
La tutela giurisdizionale è suddivisa, in conformità all'articolo 113 della Costituzione, tra gli organi di giurisdizione ordinaria e quelli di giurisdizione amministrativa, in base al criterio della natura della situazione giuridica protetta, come precedentemente descritto. I giudici amministrativi competenti in via generale sono i tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato.
Altre funzioni giurisdizionali amministrative, con competenza per specifiche materie, sono attribuite alla Corte dei conti, ai rribunali tegionali delle acque pubbliche, al tribunale superiore delle acque pubbliche, ai tribunali militari, alla Corte militare di appello e alle commissioni tributarie provinciali e regionali. Queste ultime non si occupano solo di questioni di legittimità amministrativa, ma anche, e soprattutto, dei diritti soggettivi, come ad esempio il pagamento o l'esenzione da tasse, imposte, tributi, interessi, sovratasse e sanzioni.
Spetta al giudice amministrativo la competenza per le controversie che riguardano gli interessi legittimi. Inoltre, in determinate materie specificamente indicate dalla legge, la tutela dei diritti soggettivi è affidata esplicitamente alla giurisdizione amministrativa (articolo 103, comma 1 della Costituzione).
Con le riforme attuate alla fine degli anni '90, è stato conferito al giudice amministrativo, nell'esercizio della sua giurisdizione (sia esclusiva sia di legittimità), il potere di condannare l'Amministrazione al risarcimento del danno per la violazione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali correlati, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.
Differenze tra ricorsi amministrativi e giurisdizionali
I ricorsi amministrativi presentano diverse caratteristiche rispetto ai ricorsi giurisdizionali, sebbene molti principi siano comuni:
- a differenza dei ricorsi giurisdizionali, i ricorsi amministrativi non richiedono la rappresentanza legale di un avvocato
- mentre i ricorsi giurisdizionali sono consentiti solo per la tutela degli interessi legittimi (ad eccezione delle materie di competenza esclusiva del giudice amministrativo), i ricorsi amministrativi possono essere presentati sia per la tutela degli interessi legittimi che per la tutela dei diritti soggettivi
- la decisione sui ricorsi amministrativi assume la natura di un atto amministrativo vero e proprio, ed è quindi impugnabile davanti al giudice amministrativo.
Il ricorso amministrativo
Il ricorso amministrativo è un'istanza rivolta direttamente alla Pubblica Amministrazione al fine di ottenere la tutela della propria situazione giuridica soggettiva lesa da un provvedimento amministrativo, senza dover necessariamente coinvolgere l'autorità giurisdizionale. L'obiettivo del ricorso è ottenere l'annullamento, la revoca o la modifica del provvedimento ritenuto illegittimo, che ha generato una controversia tra l'autore dell'atto e il suo destinatario o tra la Pubblica Amministrazione e un terzo soggetto.
Nell'ordinamento italiano, esistono tre tipi di ricorsi amministrativi ordinari:
- il ricorso gerarchico proprio: è rivolto all'organo gerarchicamente superiore rispetto a quello che ha emesso il provvedimento impugnato
- il ricorso gerarchico improprio: può essere presentato a un organo diverso da quello che ha emanato l'atto contestato, ma che ha poteri gerarchici sulla stessa Pubblica Amministrazione
- il ricorso in opposizione: è rivolto all'organo che ha emesso il provvedimento, al fine di ottenere la sua revoca o modifica.
Inoltre, esiste il ricorso straordinario al Capo dello Stato, che rappresenta un'opzione eccezionale e può essere esperito solo in determinati casi stabiliti dalla normativa vigente.
La definitività di un provvedimento è determinante per stabilire se sia possibile presentare un ricorso ordinario o straordinario: un atto diventa definitivo dopo la decisione sul ricorso gerarchico o trascorsi 90 giorni dalla sua proposizione, anche se non è stata presa alcuna decisione. Inoltre, un provvedimento può essere considerato definitivo per legge, quando non esiste un'autorità superiore che possa riesaminare l'atto e sia scaduto il termine per presentare ricorso.
Possono presentare un ricorso tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche) che abbiano un interesse legittimo, ovvero coloro che ritengono di aver subito un pregiudizio a causa del provvedimento amministrativo e desiderano ottenere la sua annullamento, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 24/11/1971, n. 1199, art. 1 e art. 8. L'interesse deve essere personale, riguardando il soggetto che propone il ricorso, senza confondersi con la collettività, poiché in alcuni casi è consentito il ricorso per la tutela di interessi collettivi. Inoltre, l'interesse deve essere attuale, poiché il ricorrente deve aver subito un pregiudizio concreto e immediato a seguito del provvedimento oggetto del ricorso. Infine, l'interesse deve essere diretto, in quanto solo il titolare della situazione giuridica coinvolta è legittimato a proporre il ricorso.
Il termine per presentare un ricorso è perentorio e inizia a decorrere dalla notifica dell'atto, o in mancanza di notifica, dalla data della sua pubblicazione. In tutti gli altri casi, il termine inizia a decorrere dal momento in cui si ha piena conoscenza dell'atto. Per il ricorso gerarchico e in opposizione, il termine è di 30 giorni, mentre per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è di 120 giorni. Il diritto di presentare ricorso si estingue in caso di rinuncia dell'interessato, decadenza o acquiescenza.
Il ricorso gerarchico
Il ricorso gerarchico è un rimedio generale che consente di impugnare un provvedimento non definitivo davanti all'organo amministrativo sovraordinato rispetto a quello che ha emesso l'atto. Attraverso questo tipo di ricorso è possibile contestare sia vizi di legittimità che vizi di merito, al fine di tutelare sia i diritti soggettivi che gli interessi legittimi.
Esistono due tipi di ricorso gerarchico: il ricorso proprio, che presuppone l'esistenza di un rapporto gerarchico di subordinazione tra l'organo che ha emesso l'atto e quello che decide sul ricorso, e il ricorso improprio, che rappresenta un rimedio eccezionale in cui non esiste effettivamente un rapporto gerarchico tra i due organi. Quest'ultimo permette di far valere vizi di merito che, in linea generale, non possono essere contestati in sede giurisdizionale.
Una volta presentato il ricorso, la Pubblica Amministrazione ha l'obbligo giuridico di prendere una decisione. Tuttavia, secondo il Decreto del Presidente della Repubblica 24/11/1971, n. 1199, art. 6:
se entro 90 giorni dalla presentazione del ricorso la Pubblica Amministrazione non comunica all'interessato la decisione, il ricorso si considera respinto in tutti i suoi effetti, e contro il provvedimento impugnato è possibile presentare ricorso all'autorità giurisdizionale competente o il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Il ricorso in opposizione
Il ricorso in opposizione è un tipo di ricorso amministrativo atipico che viene presentato al fine di tutelare un diritto soggettivo o un interesse legittimo, sia per vizi di merito che per vizi di legittimità. A differenza del ricorso gerarchico, questo ricorso è presentato direttamente all'organo amministrativo che ha emesso il provvedimento impugnato, purché tale provvedimento non sia ancora definitivo. I casi in cui è ammesso questo tipo di ricorso sono espressamente previsti dalla legge, proprio perché si tratta di un rimedio eccezionale. Il ricorso in opposizione può essere presentato entro 30 giorni dalla notifica o dall'emissione dell'atto impugnato.
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Il ricorso straordinario al Capo dello Stato è un rimedio giurisdizionale generale che consente di impugnare un atto amministrativo che ha acquisito carattere di definitività. Questo ricorso viene presentato al Presidente della Repubblica per far valere esclusivamente vizi di legittimità che abbiano leso diritti soggettivi o interessi legittimi. Un elemento distintivo di questo ricorso è la sua natura alternativa rispetto al ricorso giurisdizionale: infatti, una volta presentato il ricorso straordinario al Capo dello Stato, diventa inammissibile proporre un ricorso giurisdizionale.
Inoltre, l'atto impugnato mediante il ricorso straordinario non può più essere impugnato dinanzi al TAR, ad eccezione dei casi in cui il ricorso straordinario sia stato presentato contro un provvedimento che abbia leso un diritto soggettivo. In questo caso, il ricorrente può proporre il ricorso giurisdizionale davanti al giudice ordinario.
Al fine di tutelare i soggetti i cui interessi siano coinvolti, è stato introdotto l'istituto della trasposizione del ricorso amministrativo straordinario in sede giurisdizionale. Il controinteressato, anziché subire passivamente la scelta del ricorrente, può decidere di aderire alla scelta del ricorrente o di trasporre il ricorso amministrativo in sede giurisdizionale mediante un'opposizione notificata al ricorrente entro 60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario.
Dal punto di vista procedurale, il ricorso straordinario deve essere notificato entro 120 giorni dalla notificazione, pubblicazione o piena conoscenza dell'atto, pena l'inammissibilità. È necessario notificarlo almeno a uno dei controinteressati e presentarlo all'autorità amministrativa che ha emesso l'atto impugnato o al Ministro competente per la materia.
Dopo la presentazione del ricorso, il Ministro competente procede all'istruttoria, raccogliendo tutti gli elementi necessari per valutare il ricorso. Una volta conclusa l'istruttoria, il Ministro trasmette il ricorso al Consiglio di Stato e, basandosi sul parere di quest'ultimo, il Ministro formula la sua proposta di Decreto al Presidente della Repubblica, assumendo la responsabilità della decisione.
Prima delle recenti modifiche normative, il parere del Consiglio di Stato era semivincolante, e il Ministro poteva discostarsene solo sottoponendo la questione al Consiglio dei Ministri per una decisione su tale punto. Tuttavia, ora ciò non è più possibile, poiché il ricorso straordinario viene sostanzialmente deciso dal Consiglio di Stato, in virtù del carattere vincolante del parere. In dottrina si è parlato di "giurisdizionalizzazione" di questo rimedio.
Contro la decisione del Presidente della Repubblica è ammesso il rimedio della revocazione, che può essere proposto con le stesse modalità del ricorso straordinario.
Giurisdizione amministrativa
La tutela giurisdizionale offre al soggetto leso maggiori garanzie rispetto ai ricorsi amministrativi, in quanto il giudice gode di una posizione di terzietà e indipendenza dal potere esecutivo.
Gli organi
I TAR costituiscono gli organi di primo grado della giustizia amministrativa, mentre il Consiglio di Stato opera come organo di secondo grado. Ciò è stabilito dagli articoli 100, 103, comma 1, e 125, comma 2, della Costituzione.
I tipi di giurisdizione amministrativa
La giurisdizione amministrativa si suddivide in tre forme principali: la giurisdizione di legittimità, la giurisdizione di merito e la giurisdizione esclusiva.
La giurisdizione di legittimità è di natura generale e consente al giudice di verificare se un atto amministrativo sia lesivo di interessi legittimi a causa di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere. Gli articoli 3 e 21-octies della Legge 07/08/1990, n. 241 disciplinano questa forma di giurisdizione. La Legge 21/07/2000, n. 205 ha introdotto importanti novità, ampliando i poteri del giudice in termini di disponibilità dei mezzi di prova e capacità decisionale. Oltre al potere di annullamento dell'atto lesivo di interessi legittimi, il giudice ha il potere di valutare la risarcibilità del danno causato dall'atto illegittimo della Pubblica Amministrazione e può anche imporre all'Amministrazione un obbligo di reintegrazione specifica. L'articolo 34 del Codice del processo conferisce al giudice il potere di condannare l'Amministrazione a adottare tutte le misure adeguate per tutelare la situazione giuridica soggettiva oggetto del processo.
La giurisdizione di merito, invece, consente al giudice amministrativo di valutare l'opportunità o la convenienza dell'atto amministrativo in relazione all'interesse pubblico che deve essere perseguito. In questo ambito, il giudice dispone di ampi poteri di conoscenza, istruttoria e decisione, incluso il potere di annullamento, modifica o sostituzione dell'atto stesso. Tuttavia, la giurisdizione di merito è di carattere eccezionale e può essere esercitata solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come stabilito dall'articolo 134 del Codice del processo amministrativo.
Termini e tempi
Nel processo amministrativo, come in ogni processo, sono previsti diversi termini che riguardano le varie fasi del procedimento. Uno dei termini più importanti è quello per ricorrere, che ha la funzione di garantire la stabilità dei rapporti giuridici.
È importante considerare che nel processo amministrativo possono essere coinvolti sia diritti soggettivi che interessi legittimi, pertanto il termine per ricorrere varia a seconda dei casi, con distinzioni tra prescrizione e decadenza e notevoli differenze temporali: il termine di prescrizione può andare da cinque a dieci anni, mentre quello di decadenza è di soli 60 giorni.
Il termine per ricorrere può decorrere da diversi eventi:
- dalla conoscenza del provvedimento: la giurisprudenza fa riferimento al concetto di "conoscenza...della portata lesiva", intendendo che non è necessaria una conoscenza completa del provvedimento. È fondamentale che si tratti di una conoscenza ufficiale e formale proveniente dalla Pubblica Amministrazione stessa e non, ad esempio, da fonti come i mezzi di comunicazione di massa
- dalla comunicazione o notificazione del provvedimento: si tratta di atti che devono essere eseguiti da personale e con procedure specifiche disciplinate dalla normativa giuridica. Un esempio è la notificazione effettuata dall'ufficiale giudiziario
- dalla pubblicazione: riguarda gli atti a contenuto generale per i quali non è prevista la notificazione individuale. Di solito, si tratta dell'affissione all'albo dell'ente o della pubblicazione su raccolte ufficiali.
Per i diritti soggettivi, il termine per ricorrere è di 10 anni.
Altri termini di cui si è parlato o si parlerà successivamente nel procedimento sono:
- termine per il deposito: 30 giorni dopo l'ultima notifica.
- termine per la costituzione in giudizio: 20 giorni dopo la scadenza del termine per il deposito.
- termine per la comunicazione del decreto di fissazione dell'udienza: almeno 40 giorni prima della data dell'udienza.
- termine per la presentazione di documenti: fino a 20 giorni prima dell'udienza.
- termine per la presentazione di memorie: fino a 10 giorni prima dell'udienza.
L'organo responsabile del controllo sulla corretta applicazione delle norme sulla privacy è il Garante per la protezione dei dati personali. Si tratta di un'autorità amministrativa collegiale e indipendente i cui membri sono nominati dal Parlamento. Il Garante svolge un controllo preventivo e successivo sulle attività di trattamento dei dati personali effettuate in Italia.
Operando autonomamente dal Governo, il Garante dispone di poteri istruttori, consultivi e sanzionatori. Rappresenta il primo grado di ricorso amministrativo contro eventuali violazioni della normativa. Le decisioni prese dal Garante, dopo aver ascoltato tutte le parti coinvolte, possono essere impugnate davanti al sistema giudiziario.
Tra i compiti del Garante vi sono l'istituzione e la gestione del registro dei trattamenti per consentire la consultazione pubblica, il controllo del rispetto delle leggi relative ai trattamenti, l'individuazione delle modifiche da apportare, la ricezione dei reclami degli interessati, la denuncia dei reati perseguibili d'ufficio, il divieto o il blocco provvisorio dei trattamenti illeciti e l'indicazione al Parlamento delle opportunità di modifiche normative. È importante notare che il ruolo del Garante non consiste tanto nell'autorizzare i trattamenti, ma nel controllarne la liceità.
Il Garante ha il potere di richiedere informazioni e documentazione al responsabile e al titolare del trattamento, all'interessato e persino a terzi. Può accedere alle banche dati ed effettuare ispezioni nei luoghi in cui si svolge il trattamento. Per esercitare i suoi poteri, può avvalersi della collaborazione di altri organi dello Stato. Inoltre, il Garante ha il potere di integrare la normativa sulla privacy, quasi come se avesse una funzione legislativa che gli consente di individuare casi in cui è esclusa la necessità del consenso al trattamento o di stabilire misure a tutela dell'interessato.
Infine, il Garante può infliggere direttamente sanzioni previste dal Codice per la privacy, sia amministrative che penali. L'articolo 15 del Codice prevede l'obbligo di risarcire i danni derivanti da trattamenti illeciti. Richiamando l'articolo 2050 del Codice civile, il titolare del trattamento dovrà dimostrare, in caso di danno, di aver adottato tutte le misure idonee a evitare tale danno, non solo le misure minime previste dalla legge.
In sostanza, il trattamento dei dati personali viene considerato un'attività pericolosa, con un elevato grado di responsabilità. Pertanto, il risarcimento spetta alla sola persona che ha subito un danno, indipendentemente dalla volontarietà del comportamento illecito. Per essere esente da responsabilità, il titolare del trattamento dovrà dimostrare che il danno è avvenuto per caso fortuito o forza maggiore.
Gli illeciti amministrativi includono l'omessa o inadeguata informativa all'interessato, la cessione dei dati in violazione delle norme, l'omessa o incompleta notificazione e l'omessa informazione o esibizione di documenti richiesti dal Garante.
Gli illeciti penali sono previsti dagli articoli 167 e 172 del Codice. L'articolo 167 riguarda il trattamento illecito di dati personali, ossia il trattamento effettuato senza rispettare le disposizioni del Codice (trattamento illecito).
La consumazione del reato non avviene solo con il mero trattamento non conforme alle norme, ma si verifica con la presenza del danno, che costituisce un elemento fondamentale del reato.
L'articolo 169 prevede la sanzione per l'omessa adozione di misure necessarie per la sicurezza dei dati, ma prevede anche la possibilità di regolarizzare il trattamento entro sei mesi, riducendo l'ammenda.
L'articolo 170 punisce l'inosservanza dei provvedimenti del Garante, mentre l'articolo 168 punisce la falsità nelle dichiarazioni e nelle notificazioni al Garante.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha sede a Roma in Piazza di Monte Citorio, n. 121. Ulteriori informazioni si trovano sui siti web www.gpdp.it e www.garanteprivacy.it. È possibile contattare il Garante tramite l'indirizzo e-mail garante@gpdp.it e il numero di telefono 06 696771.
Quali sono i formati di firma accettati dallo sportello telematico?
Con l'applicazione del Regolamento comunitario 23/07/2014, n.
Quando possono essere utilizzati i certificati rilasciati dalle Pubbliche Amministrazioni?
Nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati sono sempre sostituiti da dichiarazioni sostitutive così come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 28/12/2000, n. 445, art.
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